ARTURO MARTINI A VADO LIGURE

Monumento ai Caduti di vado Ligure

Arturo Martini nasce a Treviso nel 1889 da una modesta famiglia e nella sua città da giovane frequenta la scuola serale di disegno, quindi nel 1907 lo studio dello scultore Antonio Carlini e infine lo studio di Urbano Nono a Venezia, dove espome nella I Esposizione di Ca’ Pesaro le sue prime opere giovanili. Nel 1916, chiamato alle armi, riesce ad evitare il fronte e si trasferisce a Vado Ligure dove conosce la futura moglie Brigida Pessaro e dove l’ingegner Polibio Fusconi, dirigente presso l’ILVA Refrattari, gli consente di allestire presso l’azienda uno studio-laboratorio per poter cuocere opere ceramiche di grandi dimensioni. Lavora in ceramica anche a Faenza e pubblica Contemplazioni, un libro senza immagini o parole, con sole tacche nere su unoa sorta di spartito.
Nel 1920 lo scultore sposa Brigida Pessaro e aderisce al gruppo “Valori Plastici“ con cui espone in una mostra itinerante in Germania e quindi nella personale, alla Primaverile Fiorentina.Lo scultore trevigiano, vadese di adozione, trovò a Vado il calore degli affetti familiari e qui visse uno dei suoi più felici momenti creativi. La guerra lo aveva portato in Liguria, come tornitore e fonditore di proiettili per l’industria bellica e poi a Vado come operaio specializzato nell’Officina Senigaglia. Nella cittadina vadese Martini si trasferì nel 1921 dopo il matrimonio con Brigida Pessano, da cui ebbe i due figli Maria (Nena ) e Antonio.
Nel 1923 proprio a Vado realizza il Monumento ai caduti della prima guerra mondiale, suo primo impegno pubblico.

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Tra il 1921 e il 1928 vive e lavora tra Vado Ligure, Roma e Anticoli Corrado, praticando pittura e grafica . Nel 1929, è invitato ad insegnare all’Istituto Statale per le Industrie Artistiche di Monza. Superato un periodo di crisi creativa, Martini ottiene il primo premio alla I Quadriennale di Roma e si dedica alla lavorazione dell’argilla refrattaria e della terracotta, suo medium congeniale, ma anche della pietra delle cave di Finale Ligure, del marmo di Carrara. Nel 1941 va ad insegnare all’Accademia di Venezia per breve tempo, Nel 1944 conclude definitivamente le lezioni all’Accademia e pubblica provocatoriamente la dichiarazione della “morte della scultura”nel libro La scultura lingua morta.Tornato a Milano nel 1946 realizza terrecotte inviate alla Galleria del Milione, di cui alcunespedite alla moglie e a Egle Rosmini.Come risulta dal suo epistolario l’artista, deciso a tornare con la famiglia a Vado Ligure, muore improvvisamente a Milano nel 1947.

Tra le opere tealizzate nella sua permaneza vadese, significative tappe del suo percorso artistico, sono conservate a Vado Ligure nel Museo di Villa Groppallo il gesso con Il Cieco, del 1925-1926, e Il Benefattore, monumento a don Cesare Queirolo, del 1932-1933, concepito come sarcofago in terracotta su cui è disteso l’uomo abbandonato nel gesto simbolico dell’offerta del pane.

Dal 1920 al 1934 l’artista lavorò e visse periodicamente a Vado, dove stabilì la sua casa in un vecchio convento  adattato ad abitazione. Vado rimase per Martini il luogo degli affetti familiari e del conforto domestico, della serenità. In questi anni importanti Martini  fa tesoro dell’arte antica e dell’arcaismo, proponendo un’immagine realistica della figura umana restituendole plasticità e volume. Tra le opere vadesi citiamo La Madre folle, del 1929, esposta alla Quadriennale Romana del 1931.

Arturo Martini, Il cieco, gesso Civico Museo di Villa Groppallo A. Martini, Il Benefattore, terracotta, Museo di Villa Groppallo

La Veglia, del 1931, terracotta di grandi dimensioni, Nel 1923 Martini realizza il Monumento ai Caduti per Vado Ligure, formato da un cilindro su cui poggia una piramide quadrangolare, ai piedi della quale, in corrispondenza dei quattro lati, trovano posto le statue bronzee con figure allegoriche: La Storia,  La Gloria,  il Sacrificio (Pastor Fido) e la Vittoria. I gessi originali sono conservati nel Museo Civico di Villa Groppallo, insieme al gesso con Il Cieco e Il benefattore, in teracotta, monumento funebre a Don Cesare Queirolo, arciprete di Vado Ligure, del 1933.

Nel 1931 ottiene una sala alla prima Quadriennale di Roma, dove vince il primo premio per la scultura. Nel 1942 gli viene assegnata una sala alla Biennale di Venezia.

La presenza di Martini a vado contribuì a sviluppare la sensibilità di molti Vadesi ai problemi dell’arte. Nel 1936 scriveva a Raffaele Collina “…fidati del polline che circola a Vado da me seminato, che il frutto non può mancare…”. La sua presenza e il suo lavoro favorirono, infatti, la maturazione non soltanto di artisti locali che amava frequentare, quali Collina, Bonfiglio, Raimondi e Nencioni, ma coinvolse un po’ tutta la popolazione, che seguiva la realizzazione delle sculture e partecipava al crescere del suo successo e della sua celebrità.

Martini non si rinchiude in una produzione ripetitiva, ma va alla ricerca di nuove strade con molteplicità di mezzi: pietra, marmo, bronzo, ceramica, terracotta, legno, disegno e incisione. Si dedica anche alla pittura negli anni compresi tra il 1938 e il 1940. Nei primi mesi del ’47 Martini manifesta alla moglie l’intenzione di tornare a casa nella sua Vado. Scrive “…Siamo alle porte della primavera e io ho deciso di venire a lavorare a Vado, quindi aspettami, …”. E, ancora “Cara Brigida, oggi ho fatto partire 11 casse per Vado che contengono tutti gli arnesi del mio lavoro: “dunque speriamo che dopo le casse arrivi anch’io che ho tanto bisogno di riposo e di rifarmi una vita per morire in pace”. Quel desiderio non poté realizzarsi: morì a Milano il 22 marzo 1947.

Martini nella sua ultima vicenda artistica attua, dopo la riscoperta dei valori della scultura del passato, medita sulla lezione delle nuove tendenze, come il senso del movimento delle opere futuriste di Boccioni e la molteplicità dei punti di vista delle opere cubiste di Picasso. Ritenendo la scultura rappresentativa e la statuaria celebrativa ormai prive di signicato,  preconizza la morte della scultura, come l’artista afferma provocatoriamente nel suo testo “La scultura lingua morta”. Martini giunge così a creare una scultura nuova, libera dalle regole che l’avevano soffocata fino a quel momento.